In
diversi studi è stata analizzata la modalità di interazione tra
allenatori e atleti adolescenti; alcune ricerche hanno messo in luce
quanto l'esperienza sportiva dei giovani possa venir condizionata dal
loro rapporto con l’allenatore. Small e Smith (1988) hanno
sostenuto chela
modalità di approccio dell’allenatore all’evento sportivo
determina il livello di stress competitivo che gli adolescenti
“sentono” nell'attività agonistica.Non
è questa la sede per entrare nel merito dell’eventuale utilità
della capacità di saper gestire lo stress in questa fase della vita.
Sicuramente le partite dei campionati possono essere un’occasione
perché i giovani atleti imparino a gestire situazioni stressanti; ma
si potrebbe obiettare chelivelli
eccessivi di ansia per la prestazione sono sempre negativi, perché
riducono il piacere e il divertimento associati al gioco sportivo.
Dall’esperienza quotidiana in palestra, appare a tutti evidente
quanto “potere” abbia l'allenatore nel determinare a livello del
gruppo e dei singoli sia la percezione delle capacità personali di
ogni giocatore (con conseguente sostegno, incoraggiamento, biasimo o
sostituzione sia l'importanza della gara e del risultato (con
conseguente forzatura sulle aspettative e sulle conseguenza di
eventuali vittorie o sconfitte). Ma il comportamento dell'allenatore
è determinante soprattutto per quanto riguarda le motivazioni alla
partecipazione e l'abbandono. Un'indagine di qualche anno fa
(Mazzara, 1995) ha cercato di dare una risposta alla domanda delle
domande:perché
si fa sport?Oltre
il 50% dei praticanti ed oltre il 50% dei non praticanti ha risposto
che si fa sport principalmente
per divertirsi.
Al secondo posto l’esigenza
di fare movimento,
al terzolapossibilità
di fare amicizie e nuove conoscenze,
al quarto la
voglia di migliorare il proprio aspetto fisico.
Senza la motivazione ludica, senza la voglia di divertirsi, nessuno
continuerebbe a praticare sport: l’attività fisica risulterebbe
saltuaria e frammentaria.
L’atteggiamento dell’allenatore risulta, quindi, decisivo per mantenere o spegnere negli adolescenti la “motivazione ludica”, che è alla base del mantenimento della pratica sportiva, giovanile e non. Sempre nel 1995 (Bortoli, Malignani, Robazza) è stata fatta una ricerca su oltre 300 atleti tra i 10 ed i 14 anni che praticavano sport individuali e di squadra; agli autori interessava capire come i ragazzi “vedevano” i loro allenatori. Dalle loro risposte è emerso che gli atleti adolescenti non erano del tutto soddisfatti del proprio allenatore, soprattutto per questi motivi: gli allenatori dovrebbero arrabbiarsi e urlare di meno durante le gare; bisognerebbe valorizzare anche il divertimento;in caso di errore si dovrebbe, comunque, incoraggiare e sostenere l'atleta.
L’atteggiamento dell’allenatore risulta, quindi, decisivo per mantenere o spegnere negli adolescenti la “motivazione ludica”, che è alla base del mantenimento della pratica sportiva, giovanile e non. Sempre nel 1995 (Bortoli, Malignani, Robazza) è stata fatta una ricerca su oltre 300 atleti tra i 10 ed i 14 anni che praticavano sport individuali e di squadra; agli autori interessava capire come i ragazzi “vedevano” i loro allenatori. Dalle loro risposte è emerso che gli atleti adolescenti non erano del tutto soddisfatti del proprio allenatore, soprattutto per questi motivi: gli allenatori dovrebbero arrabbiarsi e urlare di meno durante le gare; bisognerebbe valorizzare anche il divertimento;in caso di errore si dovrebbe, comunque, incoraggiare e sostenere l'atleta.
Nessun commento:
Posta un commento