31 marzo 2013

Parliamo di kyudo



  
Pur essendo nato come arma bellica, l’arco giapponese ha perso questa sua prerogativa offensiva per divenire uno strumento utile al raggiungimento del massimo stato di concentrazione e di armonia interiore. 
La differenza con il tiro con l’arco occidentale balza subito agli occhi: per l’arciere occidentale, colpire il bersaglio è l’obiettivo focale, per il kyudoca invece fare centro non è così importante: un tiro sbagliato non è sinonimo di fallimento ma semplicemente un’esperienza di apprendimento che fornisce una ulteriore opportunità di crescita.  
Il rituale del lancio della freccia trova nel momento del contatto tra uomo e arco uno dei suoi gesti più significativi.  
In quell’attimo, lo stato di consapevolezza e astrattezza precedentemente creato con la meditazione Zen si fonde con l’arco e le frecce dando vita all’esperienza del kyudo.  
L’obiettivo ultimo è quello di trascendete la dualità soggetto-oggetto, e l’arciere s’interiorizza, alla ricerca della perfezione fisica, psichica e spirituale. 
Le radici del kyudo affondano in un remoto passato dai tratti leggendari. La tecnica, come nelle altre discipline marziali giapponesi, ha un ruolo secondario e viene imparata solo dopo un duro e lento allenamento spirituale.  
Alla fine dell’insegnamento, il lancio della freccia dovrà essere elegante, naturale e spontaneo. 
L’arciere viene allenato a fidarsi del proprio inconscio e della componente irrazionale della sua mente. 
Per raggiungere questo grado di preparazione, il guerriero si avvale di pratiche di concentrazione e di controllo mentale che, già nel Giappone del 1200, erano ritenute antichissime.  
Molte di queste derivavano proprio prima dalla dottrina Ch’an e in seguito dallo Zen.  
Grazie allo stato di completa indifferenza e calma che riuscivano a raggiungete, i guerrieri erano in grado di tirare con l’arco con la massima precisione anche nel caos della battaglia.  
Proprio come nello Zen, il kyudoka mirerà a raggiungere la perfezione armoniosa senza utilizzate la logica e la razionalità, ma puntando sulla rivelazione che nasce dalla meditazione.  
L’arco e la freccia divengono qualcosa di più che semplici strumenti o armi: divengono un tutt’uno con il corpo dell’arciere, vere e proprie appendici del kyudoka nelle cui mani l’arco si tende, proiettando lo spirito verso l’illuminazione, il satori. 
Kyudo 
Il segreto del kyudo e racchiuso nella sua disciplina: un buon tiratore è colui che mentalmente raggiunge il centro del bersaglio prima della sua freccia”. 
li kyudo si e sviluppato partendo da due stili tradizionali: kishakei, che prevede il tiro effettuato da un arciere a cavallo, conosciuto comunemente oggi come reishakei o stile cerimoniale, e bushakei, lo stile di tiro con l’arco del soldato a piedi.  
La pratica del tiro con l’arco, sia per la caccia, sia per la guerra, e molto antica n Giappone.  
Sono stati rinvenuti degli archi laccati del V secolo a.C. e, almeno fino al XVI secolo, il kyujutsu, o “tecnica guerriera dell’arco”, era considerato il primo dei diciotto kakuto-bugei che dovevano studiare i Bushi.  
Inizialmente utilizzato dai combattenti a piedi, soprattutto a partire  dal XI secolo, l’arco trovò un massiccio impiego tra la cavalleria con la pratica del Kyuba-no-michi, la “Via dell’arco e del cavallo”.  
L’arco giapponese (yum,) e molto differente da quello cinese o mongolo, essendo molto più lungo (2,20 m circa) e con una curvatura asimmetrica; ne deriva che la precisione del tiro non può essere che relativa.  

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