Pur
essendo nato come arma bellica, l’arco giapponese ha perso questa
sua prerogativa offensiva per divenire uno strumento utile al
raggiungimento del massimo stato di concentrazione e di armonia
interiore.
La
differenza con il tiro con l’arco occidentale balza subito agli
occhi: per l’arciere occidentale, colpire il bersaglio è
l’obiettivo focale, per il kyudoca invece fare centro non è così
importante: un tiro sbagliato non è sinonimo di fallimento ma
semplicemente un’esperienza di apprendimento che fornisce una
ulteriore opportunità di crescita.
Il
rituale del lancio della freccia trova nel momento del contatto tra
uomo e arco uno dei suoi gesti più significativi.
In
quell’attimo, lo stato di consapevolezza e astrattezza
precedentemente creato con la meditazione Zen si fonde con l’arco e
le frecce dando vita all’esperienza del kyudo.
L’obiettivo
ultimo è quello di trascendete la dualità soggetto-oggetto, e
l’arciere s’interiorizza, alla ricerca della perfezione fisica,
psichica e spirituale.
Le
radici del kyudo affondano in un remoto passato dai tratti
leggendari. La tecnica, come nelle altre discipline marziali
giapponesi, ha un ruolo secondario e viene imparata solo dopo un duro
e lento allenamento spirituale.
Alla
fine dell’insegnamento, il lancio della freccia dovrà essere
elegante, naturale e spontaneo.
L’arciere
viene allenato a fidarsi del proprio inconscio e della componente
irrazionale della sua mente.
Per
raggiungere questo grado di preparazione, il guerriero si avvale di
pratiche di concentrazione e di controllo mentale che, già nel
Giappone del 1200, erano ritenute antichissime.
Molte
di queste derivavano proprio prima dalla dottrina Ch’an e in
seguito dallo Zen.
Grazie
allo stato di completa indifferenza e calma che riuscivano a
raggiungete, i guerrieri erano in grado di tirare con l’arco con la
massima precisione anche nel caos della battaglia.
Proprio
come nello Zen, il kyudoka mirerà a raggiungere la perfezione
armoniosa senza utilizzate la logica e la razionalità, ma puntando
sulla rivelazione che nasce dalla meditazione.
L’arco
e la freccia divengono qualcosa di più che semplici strumenti o
armi: divengono un tutt’uno con il corpo dell’arciere, vere e
proprie appendici del kyudoka nelle cui mani l’arco si tende,
proiettando lo spirito verso l’illuminazione, il satori.
Kyudo
“Il
segreto del kyudo e racchiuso nella sua disciplina: un buon tiratore
è colui che mentalmente raggiunge il centro del bersaglio prima
della sua freccia”.
li
kyudo si e sviluppato partendo da due stili tradizionali: kishakei,
che prevede il tiro effettuato da un arciere a cavallo, conosciuto
comunemente oggi come reishakei o stile cerimoniale, e bushakei, lo
stile di tiro con l’arco del soldato a piedi.
La
pratica del tiro con l’arco, sia per la caccia, sia per la guerra,
e molto antica n Giappone.
Sono
stati rinvenuti degli archi laccati del V secolo a.C. e, almeno fino
al XVI secolo, il kyujutsu, o “tecnica guerriera dell’arco”,
era considerato il primo dei diciotto kakuto-bugei che dovevano
studiare i Bushi.
Inizialmente
utilizzato dai combattenti a piedi, soprattutto a partire dal XI
secolo, l’arco trovò un massiccio impiego tra la cavalleria con la
pratica del Kyuba-no-michi, la “Via dell’arco e del cavallo”.
L’arco
giapponese (yum,) e molto differente da quello cinese o mongolo,
essendo molto più lungo (2,20 m circa) e con una curvatura
asimmetrica; ne deriva che la precisione del tiro non può essere che
relativa.
1 commento:
molto bello
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