5 novembre 2013

Il più antico degli sport moderni

Il tiro con l’arco è uno sport di nicchia che appassiona una discreta parte della popolazione, poiché i costi dell’attrezzatura non sono sempre abbordabili ma principalmente perché richiede grande tecnica e concentrazione
. In questa guida parleremo di  tecniche base di mira rilascio con l’arco. Come prima cosa il tiratore, posto sulla linea di tiro, deve prendere atto dell’ambiente circostante, del suo obbiettivo e deve mettere il suo arco in posizione tale da diventare un tutt’uno con il suo corpo. La presa deve essere quanto più naturale possibile, con la mano sempre morbida e le dita in posizione tale da accompagnare le corde in maniera quasi spontanea. L’arco deve reagire in maniera naturale senza perturbazioni o forzature di nessun tipo. I piedi ed il resto del corpo devono essere posizionati in modo tale da garantire stabilità. Fondamentale è il braccio che mette in relazione il tiratore con l’arco a tal punto da essere quasi considerato una parte dell’arco stesso e deve essere perfettamente allineato con esso. Della stessa importanza è la spalla, che costituisce il perno di equilibrio e che deve assumere una posizione quanto più naturale possibile, proporzionata alla propria forza e alla natura del proprio arco. Assunta la corretta posizione si può passare alla fase di apertura dell’arco, tendendolo con tutti i muscoli alti, inclusi i dorsali e i deltoidi, ed a ancoraggio raggiunto, utilizzarlo per prendere la mira. Le dita devono essere collocate sulla corda in maniera stabile e precisa e la loro posizione deve essere la stessa dalla fase di trazione fino a quella del rilascio finale.
La posizione di ancoraggio finale deve essere tale da poter materializzare una linea immaginaria che dall’occhio arrivi fino al bersaglio attraverso il mirino. Per mirare al meglio non è necessario cercare un punto preciso ma bisogna mirare ad una zona. La fase di mira deve comportare un attimo di concentrazione e precisione ma si deve sviluppare in un breve lasso temporale: oltrepassati i sei secondi l’occhio inizia a perdere dettagli importanti per una corretta mira, ecco perché si deve agire entro questo lasso temporale. Presa la corretta posizione, teso l’arco e messa a fuoco la mira si può rilasciare la corda che lancerà la freccia verso il bersaglio. In pochi attimi si deve essere capaci di riprendere il coordinamento naturale inziale e la mira per ritendere l’arco e riscoccare le frecce successive nella stessa maniera della prima, il tutto coordinato con una corretta respirazione.
Per questi motivi il tiro con l’arco richiede forza, precisione ma soprattutto un ottimale stato psicologico che si raggiunge con molti anni di allenamento, per entrare in uno stato mentale che permetta di avere sempre a fuoco l’obbiettivo e di diventare un tutt’uno con il proprio arco in ogni tiro senza perdere la concentrazione e l’armonia, chi non sente questa sensazione  difficilmente arriva al  perfezionamento,  abbandonando il percorso molto prima di arrivare al traguardo  !!!
buona fortuna by B.D.M.

3 novembre 2013


Questo articolo è stato scritto da T.J. Conrads, e ci invita al tiro istintivo.
La forma più pura di tiro con un arco tradizionale richiede che si usino solo le facoltà di coordinazione fra occhio, mano e cervello, un talento che Dio ha fornito a tutti gli uomini.
Questa facoltà di coordinazione è usata in molti sport: pensiamo ai calciatori, ai cestisti, ..., che lanciano il pallone in modo immediato, senza prendere la mira, cioè in modo istintivo.
Allo stesso modo si comporta un atleta che tira con l’arco in modo istintivo, guardando il bersaglio da colpire e tendendo e rilasciando l’arco senza mirare in modo conscio.
Tutti possiamo essere in grado di operare allo stesso modo, come tutti siamo capaci, con poco allenamento, di lanciare un sasso per colpire una pianta o di lanciare un fresbee ad un nostro amico.
Naturalmente riuscire a tirare bene con l’arco in modo istintivo richiede tempo, allenamento e dedizione, come tutto del resto nella vita: d’altra parte riuscire nel tiro istintivo è una dei piaceri maggiori che può provare un tiratore.
Si tratta di insegnare al proprio cervello, al proprio corpo ed ai propri occhi di lavorare in modo coordinato per raggiungere il risultato voluto, cioè colpire quello che si sta guardando.
È un processo deliberato nel quale, attraverso la ripetizione delle operazioni, il nostro corpo impara come sollevare e puntare l’arco per colpire il punto scelto solo fissando il punto che si vuole colpire e concentrando su di esso la propria attenzione: il cervello ci farà realizzare il tiro in modo esatto se gli permettiamo di farlo.
Per convincervi che questo è vero, si provi a fissare un oggetto attraverso la stanza o fuori dalla finestra, poi si chiudano gli occhi e si punti il dito indice, col braccio teso, verso quel punto: aprendo gli occhi si potrà constatare che il dito sarà indirizzato molto vicino al punto fissato.
Questo ci dimostra che già abbiamo l’abilità di tirare in modo istintivo: occorre solo del tempo perché si riesca ad essere in grado di eseguire la stessa cosa con arco e frecce.
Usando un arco tradizionale, la freccia dovrà appoggiare sul supporto della finestra, non su di un rest più alto: così la freccia sarà più vicino alla mano all’arco, che è la parte del corpo che verrà puntata verso il bersaglio da colpire. Corrisponderà all’incirca al dito indice, che come si è visto è diretto in modo istintivo verso il bersaglio.
Allenarsi per riuscire a tirare in modo regolare con la freccia appoggiata sulla base della finestra e passare poi ad allenare l’occhio al tiro istintivo come segue.
Ci si ponga a circa 10 m dal battifreccia, sul quale è stato posizionato un bersaglio costituito da un punto nero del diametro di circa 3 cm. Si provi a tirare fissando il punto nero e concentrando su di esso la propria attenzione, senza mirare. Il puro tiro istintivo si realizza quando si è coscienti solo del bersaglio che si vuole colpire. Provando e riprovando si arriverà ad un buon raggruppamento delle frecce sul punto - bersaglio.
Aumentare quindi la distanza e continuare gli allenamenti. La cosa migliore è allenarsi all’aperto, in un bosco, prendendo di mira ogni volta un bersaglio diverso (una foglia, una zolla particolare, …) tirando una sola freccia ad ogni bersaglio. Valutare quindi il risultato ottenuto, controllando che la propria concentrazione prima del tiro sia sempre stata esattamente indirizzata sul bersaglio. Il tiro a bersagli casuali è il miglior allenamento che si può fare per imparare il tiro istintivo.
Il miglior tiratore istintivo che conosco si allena al tiro su bersagli sino a 70 - 90 metri di distanza: la sua teoria è che tirando a distanze molto lunghe allena meglio il suo cervello al tiro su tutte le distanze, tenendo conto della traiettoria delle frecce.
Qualcuno afferma che nel tiro istintivo si mira guardando la punta della freccia: non è e non deve essere così: non si deve in alcun modo guardare la freccia; se un tiratore istintivo si sforza di vedere la freccia mentre la sua attenzione è rivolta al bersaglio non riuscirà a colpire il bersaglio.
Tutto quello che si deve fare è concentrare l’attenzione solo sul bersaglio da colpire e sull’azione di aprire e rilasciare l’arco.
Provando e riprovando si riusciranno ad ottenere risultati soddisfacenti.


2 novembre 2013

Lo sport e la droga


Che cos’è lo sport?
Lo sport è l’insieme di attività individuali o collettive che
impegnano e sviluppano determinate capacità psicomotorie,
proposte anche per fini ricreativi salutari.
Questo è la definizione che darebbe uno scienziato, ma uno
studioso non sa cosa si intende per sport.
“L’artista non ha convinzioni etiche, ma l’atleta sì.” Questa frase
aiuta a riflettere sul vero significato dello SPORT.
Lo sport è sinonimo di determinazione: “Costi quel che costi devi
raggiungere il tuo scopo”. Hai un obiettivo in mente e in quel
momento tutti i pensieri scompaiono. Non ti ricordi neanche chi
sei. Il tuo cervello è una fonte di energia che ti invita a continuare.
E’ però anche sinonimo di impegno, grande voglia di mettersi alla
prova, superare i propri limiti e realizzare i propri sogni.
Ogni sportivo da piccolo sognava di essere il numero uno.
Sul tetto del mondo con in mano una coppa e al collo una
medaglia, salutando e ringraziando il pubblico per averlo
accompagnato.
Si può vivere lo sport in due modi diversi: pensare per sé e
cercare di vincere a qualunque costo. Ci si sente campioni
e si riscontrano soddisfazioni personali. Oppure
combattere ogni avversità con l’appoggio dei compagni.
Gli amici hanno un ruolo fondamentale.
Infatti in una sfida si possono trovare più porte. Se la
sconfitta è la prossima porta che si aprirà, al di là di essa
troveremo conforto negli amici. Ma la soglia più bella da
raggiungere è la vittoria. Stremato, recuperi le forze
giusto per festeggiare con i tuoi compagni. Un altro
traguardo è stato raggiunto, e tutti i tuoi sforzi, le tue sofferenze, sono state ripagate.
Lo sport presenta anche un lato negativo, infatti, non tutti cercano di vincere correttamente agevolando
le proprie capacità. Per alcuni è una soglia di sacrifici, di fatiche, di dolore, quasi insuperabile dove
l’unica uscita sono inganni e false apparenze.
La droga è il principale ostacolo da superare, tuttavia non sempre ci si riesce. La droga rende dipendenti,
la droga rende schiavi. Una persona potrebbe dire: “Oggi mi sono fatto”, e
tutta divertita ritorna per la sua strada. Passato del tempo la stessa persona
racconta: ”La droga mi ha rovinato la vita, mi ha reso schiavo e mi ha privato
della mia felicità”.
Voi penserete che la droga non sia nulla, che non valga nulla o che invece ti
aiuti a sentirti più potente, ma non è così.
La droga è una malattia cronica, un buco nero in cui entri e dal quale non
sempre puoi uscire.
Lo sport è una cosa inutile se praticato con l’ausilio della droga. Lo sport è sport se realizzato con la
lealtà. La lealtà è l’unica goccia benigna che ogni atleta deve possedere per farsi amare dagli altri. Chi è
leale è riconosciuto ed amato, chi è sleale è furbo, ma sarà abbandonato.
Lealtà, amicizia , impegno: questo è lo sport.
Si vince, si perde però alla fine lo “sport pulito” ti aiuta nella vita, ti insegna a soffrire, a convivere con gli altri e ti regala soddisfazioni.

SPORT, una parola grande che richiede determinazione e uno spiccato impegno, ma non tutti sono d'accordo!!!!!  

15 ottobre 2013

Gara di solidarietà patrocinata dal Comune di Capri
Capri tentostruttura la solidarietà sulla linea di tiro ,l'associazione caprese che sta svolgento questo percorsso di solidarietà e sport da qualche anno dopo Airola (BN) dove i proventi furono destinati all'associazione il Gabiano di Grottolella si ripropone a Capri per l'abulanza Croce Azzurra di Padre Pio .
Alle ore 10,00 si iniziava con un minuto di raccoglimento per le persone decedute a Lampedusa a seguire la gara che si è svolta in due fasi su 10 volee molti vincitori tra i quali anche i capresi , ma di sicuro a vincere e stata la “solidarietà”, subito dopo si è passati alla premiazione con la collaborazione del Sindaco sig. Ciro Lembo e rappresentanti dell'associazione Croce azzurra di Padre Pio, a seguire si è potuto gustare l'ottima cucina di Gennaro Apunzo che non si smentisce mai particolarmente quando si tratta di solidarietà.
Un ringraziamento a tutti i collaboratori dell'Arco Club Capri, ed i sostenitori all'evento : ditta edile C.G.E.srl del Sig Gerardo De Mase, Porta Costruzioni, Pensione Italia, ditta Euroalimentari di Maurizio Ruocco,
Gruppo Battellieri Capresi che ha provveduto con un offerta personale.
Inoltre si ringrazia la partecipazione degli Arcieri Normanni Aversa, Arcieri del Sannio Benevento,
Archery team ferraioli, di Pogiomarino, Arcieri del mare Molise.



La depressione da sport

Lo Sport fa bene!
Chi fa Sport vive sano!
Lo Sport aiuta a sfogarsi!
Il cervello di chi fa attività fisica produce 
endorfine!
Ma allora perché molti atleti sono depressi?
Uno dei disturbi psichici più studiati rispetto allo sport è la depressione.
Da una parte numerose ricerche hanno recentemente dimostrato come una regolare attività fisica sia in grado di stimolare un miglioramento dello stile di vita nelle persone che soffrono di depressione, dall’altra ci si chiede come mai proprio gli atleti sono una parte di popolazione a rischio depressione.
La depressione può essere intesa come una serie di sensazioni negative quali tristezza, rallentamento mentale, mancanza di concentrazione, la perdita di interesse per le attività abituali e l’incapacità di pensare ad un futuro positivo.
Non sono rari, purtroppo, episodi di grandi atleti che, dopo una serie di successi o dopo una medaglia d’oro, si trovano in difficoltà, spariscono dalla circolazione, imboccano la strada dell’alcol, della droga, del doping o vivono situazioni di vuoto esistenziale di cui non riescono a vedere vie d’uscita.
Esempi di atleti di alto livello che cadono nel baratro della depressione ci suggeriscono che per essere campioni nello sport agonistico non è sufficiente solo avere il fisico, ma, e direi, soprattutto, avere un buon equilibrio psicologico.
Il senso del vuoto ha toccato le vite e le carriere di molti atleti. Per citare solo alcuni esempi ricordiamo la depressione sfogata nell’alcolismo del calciatore Adriano, oppure la situazione del tennista André Agassi(raccontata nella sua autobiografia), o al nuotatore Ian Thorpe, fino ad arrivare all’evento più tragico e definitivo: il suicidio, per esempio del portiere tedesco Robert Enke o del ciclista Marco Pantani.
Da una recente ricerca, si evidenzia che il 20% degli atleti soffrono di depressione, e la percentuale aumenterebbe al 50% se si considerano gli atleti di fine carriera.
Quando una persona fa dello sport, il suo lavoro (e la sua vita!) rischia che il fallimento di una performance, un evento negativo, un infortunio, il non raggiungimento di un traguardo o la perdita di una competizione importante, possano significare, per chi non ha un buon livello di autoconsapevolezza, il fallimento di sé!
Il giudizio di valore che ci si dà come sportivo diventa il giudizio di valore della persona stessa, ed espone alla messa in discussione dell’intera vita.
molto spesso questi atleti hanno un vissuto personale, nascosto dai riflettori, in alcuni casi è proprio la notorietà che amplifica le condizioni personali di sconforto o tristezza, con il rischio di non potersi dedicare profondamente e tranquillamente a se stessi.
L’equilibrio psicologico degli sportivi può essere compromesso da:
  • la fragilità individuale
  • continui spostamenti di città e di relazioni affettive, per gare o per cambio di club.
  • lo sguardo giudicante del pubblico spettatore
  • la ricerca della perfezione)
Ricordiamo che lo sportivo è prima di tutto una persona.
Identificare le caratteristiche personali dell’atleta è fondamentale per una sua gestione e per riconoscere eventuali cambiamenti di umore o di condotta che possono essere i primi segnali di attenzione sullo stato emotivo e psicologico dell’atleta. Se, per esempio, in tempi brevi l’atleta modifica il suo atteggiamento verso lo sport, lamenta stanchezza o svogliatezza, varia incomprensibilmente il suo rendimento o il modo di relazionarsi con l’allenatore o i compagni, non va trascurata l’ipotesi di una compromissione a livello psicologico, soprattutto se questo non trova spiegazioni legate ad altri eventi di vita.
Attenzione a non identificare tutto come depressione però!
La figura dello Psicologo dello Sport offre consulenza e formazione affinché l’insorgere di un eventuale disturbo psicologico, come appunto la depressione, sia interpretato nella specificità del caso singolo, considerando la storia individuale e le esperienze proprie di quel determinato atleta.
Quindi, un consiglio! Se si pratica sport agonistico e/o ad alti livelli, è necessario allenare oltre al fisico, anche la propria mente, nel senso di essere consapevoli di sé, dei propri limiti, delle proprie potenzialità, dei propri valori e quindi del proprio equilibrio!
A questo dobbiamo aggiungere nel nostro caso di isolani le troppe difficoltà per la partenza domenicana ,dove molti ragazzi preferiscono fare tardi la notte del sabato ,per poi appendere la partenza , quindi la maggior parte preferisce farsi la partitina nel campetto della parrocchia , purtroppo si sa che per raggiungere obbiettivi soddisfacenti bisogna sacrificarsi, nel nostro caso abbiamo costatato che il 50% degli atleti che hanno passato nel tiro con l'arco si sono arresi alle prime difficoltà .

 BY  B.D.M.


9 ottobre 2013

Sport e Solidarietà

Continua il percorso gare di solidarietà organizzate dall'associazione caprese di tiro con l'arco ,dopo Airola in provincia di Benevento nel 2011, dove i proventi furono destinati all'associazione “IL GABBIANO” di Grottolella ,quest'anno ci si ripropone a Capri per la “CROCE AZZURRA DI PADRE PIO”ci spiega il presidente dell'associazione di tiro con l'arco ,anche se il nostro è uno degli sport minori con i tempi di crisi riusciamo nel nostro piccolo a dare qualcosa.

19 settembre 2013

Il lavoro che svolge un allenatore


In tutti gli sport l'allenatore é certamente una figura basilare, sia per quanto riguarda la preparazione fisica dell'atleta, sia per quanto concerne il supporto psicologico di cui ogni sportivo sente la necessità.
L'allenatore si occupa principalmente degli aspetti tecnici e strategici delle performances agonistiche degli atleti, ma il suo ruolo di leader in seno alla squadra che dirige - o nei confronti dello sportivo che segue a livello individuale - lo pone in una relazione interpersonale di tipo complementare nella cosiddetta posizione one - up. Ciò sta a significare che egli si ritrova ad essere un punto di riferimento ed un modello di identificazione per i suoi ragazzi, sia sul piano agonistico che su quello umano.
Dal punto di vista psicoanalitico l'allenatore diventa un sostituto edipico molto importante: infatti il ragazzo in età adolescenziale che si accinge a fare sport porta con sé, nel rapporto con gli altri compagni e nei riguardi di una figura rivestita di una certa autorità come può essere quella dell' allenatore, le sue dinamiche familiari non risolte.
Il ragazzo quindi rivive alcuni dei sui conflitti interiori nella situazione agonistica e nei rapporti interpersonali.
L' allenatore, in questa chiave di interpretazione analitica, viene vissuto dall' atleta in qualità di sostituto delle figure paterna e materna: paterna poiché assume una funzione di guida sicura ed autoritaria, materna in quanto dovrebbe proteggere e supportare il ragazzo.
Si può altresì sottolineare che l'attività sportiva e il determinante lavoro dell' allenatore diventano un elemento di mediazione tra il sistema familiare e il gruppo dei coetanei dell' atleta, che possono entrambi presentare delle situazioni interattive disfunzionali.
L' allenatore appare dunque come un punto di incontro tra le figure familiari, rivestite di autorità ma anche di una certa carica affettiva, e il sistema sociale e scolastico del ragazzo ; l'attività sportiva e gli obiettivi agonistici perseguiti sotto le direttive dell' allenatore possono diventare un momento di prevenzione in situazioni e contesti sociali economicamente ed affettivamente svantaggiati, che potrebbero dare adito a condizioni di devianza.
Ma qual é l'effettiva realtà in cui si muove la figura dell'allenatore - leader ?
Secondo la ricerca condotta da Vanni sulla leadership dell' allenatore mediante l' utilizzo della " The leadership scale for sport ", viene riscontrata una certa incapacità da parte degli allenatori di comunicare le proprie intenzioni agli atleti.
L'atteggiamento maggiormente messo in atto é quello autocratico : l'allenatore non é molto disponibile nel chiedere dei pareri ai ragazzi e nel seguire le loro indicazioni di carattere tecnico.
Alcuni allenatori tendono spesso a sopravvalutare la parte tecnica e a non preoccuparsi di offrire un adeguato sostegno educativo, rivelando una scarsa preparazione in questo settore ed evidenziando una mancanza di sensibilità nei confronti delle problematiche giovanili.
Da questa ricerca si prospetta una situazione non molto positiva dei rapporti fra atleti ed allenatori: infatti questi ultimi sembrano basare la loro attività quasi esclusivamente sul rendimento fisico - atletico dei ragazzi, assumendo un atteggiamento autoritario nei loro confronti.
Il suo comportamento viene percepito dagli atleti come molto distaccato ed incurante di quelle che sono le loro aspettative, soprattutto a livello umano.
Non é sicuramente un compito facile gestire una realtà composita formata da parecchie variabili da tenere contemporaneamente in considerazione : saper mantenere l' equilibrio fra gli elementi che intervengono nella conduzione di un team sportivo richiede da parte dell' allenatore considerevoli doti tecniche e di organizzazione, nonché capacità relazionali di notevole spessore.
La funzione espletata dallo psicologo dello sport accanto alla figura - chiave dell' allenatore diventa allora una serie di strumenti per risolvere molte delle complesse situazioni che possono sorgere fra allenatore, atleti, dirigenti del team sportivo e i familiari degli atleti.
Per non parlare della spinosa problematica del ‘Burn – out’: l' espressione 'Burn - out' si riferisce al fenomeno per cui un allenatore - ma questo discorso é valido per qualsiasi categoria professionale - esaurisce la sua energia, ha un crollo psicologico e motivazionale e non riesce più a far fronte alle onerose esigenze della sua attività.
Come abbiamo già in parte constatato, il lavoro dell' allenatore si svolge in un ambiente piuttosto stressante caratterizzato dalla presenza delle responsabilità riguardanti l' adeguata preparazione atletica, le interferenze dei dirigenti del gruppo sportivo e le pressioni degli sponsors, i rapporti con i genitori degli atleti e con il pubblico, i problemi di carattere disciplinare che possono sorgere all' interno della squadra e così via.
Sono stati individuati alcuni comportamenti che possono contribuire all' insorgenza del Burn - out: essere perfezionista e non tollerare i possibili errori propri e degli sportivi, mancanza di capacità assertive, essere insoddisfatti, avere delle aspettative troppo elevate o farsi assorbire troppo dall' attività agonistica.
Sembra che sia stato rilevato un più alto livello di Burn - out nei protagonisti di sport individuali che in quelli di squadra e che la causa più rilevante di questo fenomeno sia l' incapacità di sviluppare rapporti adeguati fra allenatori ed atleti.
Secondo questa indagine risulta che la professione di allenatore sia intrapresa da soggetti assertivi ed estroversi che resistono agli insuccessi ed alle frustrazioni in maggior misura rispetto ad altre professioni.
Non possiamo dimenticare che la figura - chiave dell' allenatore ha anche il delicato compito di sostenere lo sportivo nei momenti di maggiore difficoltà e di prevenire con il suo supporto il Burn - out di questi.
Infatti dalla letteratura si evince che gli atleti, durante l'attività agonistica, sperimentano fattori stressanti dovuti all'incertezza del risultato, al timore del fallimento ed alla paura di non riuscire a dare il meglio di sé in gara.
L' allenatore dovrebbe far fronte alle richieste degli sportivi da lui seguiti sviluppando la capacità di esprimersi in maniera adeguata nei loro confronti, non consigliandoli e basta ma ascoltandoli e prestando loro una maggiore attenzione.
Infatti una efficace comunicazione interpersonale può sciogliere le tensioni che possono insorgere fra atleta ed allenatore a causa di incomprensioni e qui pro quo, venutesi a creare in un contesto di scarsa attenzione e di ascolto superficiale, oppure troppo aggressivo o invasivo.
Un buon allenatore dovrebbe essere tecnicamente preparato ed aggiornato ma dovrebbe anche aver acquisito una certa sicurezza personale che gli permetta di improntare il suo allenamento prima sulle esigenze umane e poi sull' obiettivo della vittoria.
Egli dovrebbe aver sviluppato una propria auto consapevolezza e una sincera autostima: credo che senza queste caratteristiche non si possa pretendere di relazionarsi in maniera corretta e funzionale con gli altri, né si possano raggiungere risultati elevati in campo agonistico.
Egli emerge da questo studio come una figura che tende alla conquista di una certa notorietà a livello personale, che é interessata soprattutto alle vicissitudini del capitano della squadra, poco disponibile nei confronti dei 'gregari' - da cui pretende il massimo rendimento -, incapace di stabilire dei rapporti di fiducia e di stima con i gli amici e capace di creare risentimenti e una situazione competitiva tra di loro.
Inoltre bisogna pensare allo stress fisico mentale dell'allenatore che deve comunque far si che le compagini si legano 

Ne risulta quindi un quadro piuttosto problematico, che sarebbe opportuno approfondire con ulteriori indagini in merito?
by B.D.M.



RIAPRONO I CORSI DI TIRO CON L'ARCO PRESSO GLI ARCIERI ARCO CLUB CAPRI asd  X inform scrivere arcoclubcapriasd@gmail.com  oppure watzap ...